Elaborato vincente 2009

L’autrice Costanza Rosa è stata premiata il 14 novembre 2009 presso la sala degli arazzi del palazzo comunale.

 

Sibilla Aleramo, “Una donna”.
Se dovessi raccontare questo libro in poche parole essenziali scriverei: forte, intenso, vivo, intimo. La sua forza viene dalla storia e dai messaggi che trasmette capaci di colpire e raggiungere lettori delle più diverse età e nazionalità. L’intensità della capacità di racchiudere i significati di una vita in così poche pagine riportandoli nella loro interezza, veri, senza appiattirli sulla pagina. E’ vivo perché leggendolo mi è sembrato che le mie sensazioni crescessero via via come figlie dello stesso sesso. La simpatia e la vicinanza, provate con la lettura dei primi capitoli, quelli dell’infanzia, sono diventate incomprensione e repulsione per quelli della prima giovinezza soffocata dal matrimonio, poi ancora entusiasmo e ammirazione per i capitoli del difficile riscatto e della vita a Roma, tristezza e comprensione negli ultimi. “Una donna” è un libro intimo, da subito lo si percepisce e ci si accorge di quanto profondamente l’autrice riesca ad indagare se stessa.
Queste caratteristiche non costituiscono soltanto la base del libro, ma sono proprie anche della protagonista, anzi, ampliando questa considerazione si può dire che l’anima di questa donna sia così grande da costituire da sé il libro. Il libro “Una donna” non solo nel titolo ma nella sua totalità, dalla prima all’ultima parola. Penso che questa identificazione tra libro e protagonista e la volontà dell’autrice di dare una impronta biografica alla sua opera siano due aspetti molto importanti. Infatti essi insieme riescono a suscitare una grande forza che, partendo dalle esperienze vissute in prima persona dall’autrice e passando attraverso la storia della protagonista, raggiunge in pieno il lettore.
Sibilla Aleramo – questo il nome dell’autrice, più vero di quello all’anagrafe – è una donna, una persona che io vedo in assoluto come un bellissimo esempio d’umanità. Infatti, se mi chiedessero quale è secondo me la caratteristica migliore dell’essere umano, risponderei la sua istintiva propensione ad amare se stesso, i figli, un’altra persona, le cose belle della vita, i propri ideali. Ed è proprio questo che Sibilla Aleramo rappresenta per me ora. Tuttavia non sono arrivata a questa considerazione molto facilmente. Ho sofferto, leggendo il racconto di una giovinezza così oppressa, così piegata e rassegnata a un destino che mi pareva inaccettabile, non riuscivo a comprendere quelle pagine. Solo dopo, cominciando a intravedere dei segnali, ho riscoperto e in fine ammirato ciò che si trovava sotto quell’apparente rassegnazione: una volontà di affermarsi che in realtà si percepiva fin dall’inizio del racconto e che non era mai scomparsa, ma era stata schiacciata e allontanata. Mi chiedo ora, però, cosa abbia provocato quella mia reazione. Forse non sono riuscita a ricondurre ciò che leggevo al periodo storico, non riuscendo a focalizzarlo. Eppure se adesso mi chiedessero di figurarmi nella mente come poteva vivere una donna all’inizio del novecento, non credo che mi sentirei sperduta in un mare di immagini vaghe composte da qualche data e da notizie sparse. Credo invece che potrei averne una raffigurazione concreta e devo questo alla fortuna che ho avuto di poter conoscere la mia bisnonna di persona e di aver ricevuto la testimonianza della sua vita. Anche lei sposa giovanissima, andava a lavorare i campi di un nord-est desolato e poverissimo, di una terra d’emigrazione – fatto che spesso oggi viene dimenticato. Appena avuto il suo primo figlio fu mandata dal marito a fare la balia in una famiglia d’estranei che la consideravano solo come strumento di sostentamento per un neonato. La mia bisnonna poté rivedere il suo bambino solo dopo un anno, e il segno del dolore per questo abbandono imposto, è sempre rimasto in lei e si è manifestato come una forte predilezione da parte sua per il primo figlio, mio nonno. Pur avendo passato da tempo i cento anni e avendo perduto ormai gran parte della sua lucidità, mi stupisce ancora oggi come il suo primo pensiero, quando andiamo a trovarla, sia sempre per mio nonno.
Sono consapevole dell’importanza dell’eredità che la mia bisnonna mi ha lasciato e la ringrazio per  questo. Sono grata anche a mia nonna, che cominciò a lavorare insieme alla sorella a quindici anni in una fabbrica di confezione d’abiti e il primo giorno si ferì il dito con la macchina da cucire. Questo  lavoro, anche se inizialmente fu duro, divenne strumento della sua emancipazione e le permise di trasferirsi dal suo minuscolo paesino natale nel trevigiano a una grande e vitale città, Milano. Qui conobbe mio nonno e si sposarono, ma non riuscì a mantenere la serenità che si era guadagnata con fatica. La sua prima figlia morì a soli otto anni, ma non poté lasciarsi abbattere dalla vita per il bene dell’altra sua piccola bambina,  mia madre. Ecco, ora passando da una generazione all’altra sono arrivata a quella donna che  idealmente mi fa congiungere a tutte le altre donne, tutte nel mondo e nella storia.  E’ naturale pensare che possa bastare anche solo la possibilità di stare al mondo e di sentirsene parte che una madre dà al proprio figlio, perché egli le sia riconoscente. Io però mi sento grata a mi madre anche perché lei ogni giorno mi trasmette un esempio di donna e di genitore, diretto, vero. Ogni volta che ho sentito il bisogno di confrontarmi con qualcuno, ogni volta che chiedevo che qualcuno ascoltasse i miei pensieri da quelli piccoli e quotidiani a quelli più importanti e decisivi per il mio maturare, lei si dedicava a me dimostrandomi quella considerazione e quella simpatia, che sono per me la vera essenza del suo amore materno.  So quanto mia madre tenga al rapporto che ha instaurato con me fin da piccola, perché so quanto sia stato difficile per lei confrontarsi con la sua di madre. Mi ricordo di quando una volta, con il sorriso di chi guarda al passato con maggiore esperienza, mi ha raccontato di quando chiese alla nonna se si riteneva una donna frigida. Nella sua vita il confrontarsi con se stessa e con gli altri ha assunto una tale importanza da permetterle di parlare con me del suo ruolo stesso di genitore liberamente senza respingere le critiche ma tenendone conto e discutendole. Grazie al suo esempio, posso riconoscere anche in questa propensione all’ascolto, così che adesso mi ritrovo io stessa a ricambiare la considerazione che lei non mi ha mai negato quando chiedevo il suo aiuto.
Rileggendo questo piccolo racconto familiare mi rendo conto che toccando quattro generazioni ho fatto un viaggio alla velocità della luce nel novecento e so che ci sono tantissime donne di cui non  ho parlato , tantissimi racconti di vita che ancora non conosco. So che quando da maggiorenne sarò chiamata per la prima volta al voto sarà grazie alla forza e alla passione che tutte le suffragiste dimostrarono per ottenere questo diritto. So che se oggi posso contare su una vita più libera per me, per la mia generazione e le successive, tutto questo è dovuto alle lotte femministe, a tutte le donne che si sono impegnate per migliorare il futuro delle donne che sarebbero venute dopo di loro e rispettare il ricordo di quelle che le avevano precedute.
Ora però vorrei provare a rispondere a quella domanda che mi ero posta all’inizio delle mie considerazioni,  a trovare quindi il vero motivo della mia repulsione per il racconto di una giovinezza oppressa e maltrattata. Dopo avere riflettuto ancora un po’, adesso penso che ho avvertito il bisogno di allontanarmi da quei capitoli del libro perché forse avevo paura di ciò che mi mostravano: una situazione descritta in tutta la sua concretezza che, anche se cercavo di confinare ai primi del novecento, in realtà sentivo purtroppo ancora molto vicina all’attualità. Infatti mi piace ricordare le libertà e i diritti, tutte le conquiste e le vittorie che le donne hanno ottenuto perché averle sempre presenti mi fortifica, ma purtroppo nella società in cui vivo oggi, in Italia e nel mondo, la presenza di questa realtà è costantemente avversata da situazioni di violenza, di sopraffazione, di diffamazione delle donne. Non ci si può non preoccupare di fronte allo spaventoso numero di violenze commesse sulle donne nell’ambiente familiare in Italia, non ci si può non indignare davanti alla diffusione sempre più evidente nella società dell’uso contro le donne di denigrazioni camuffate da battute, è impossibile non pensare a tutte le donne nel mondo travolte dalla violenza delle guerre, sottoposte a sfruttamento e soprusi da parte di esseri disumani, private della libertà.
Sono riconoscente verso il libro “Una Donna” e verso Sibilla Aleramo, perché hanno suscitato in me queste riflessioni, perché mi hanno fatto comprendere il valore di indagare nella propria profondità, e mi spingono a rivolgermi con sguardo appassionato e profondo alle vite di altre donne che non conoscevo ancora. Credo che il modo migliore per comunicare questa mia riconoscenza sia di riportare un pensiero di Sibilla Aleramo che mi ha colpito molto, come a significare la mia volontà che anche se queste parole scritte terminano qui sulla carta, i pensieri che ho voluto esprimere continuino a vivere e a crescere in me. “Ella era l’avvenire. Dinanzi a lei avevo sentito per la prima volta che v’erano esseri più giovani di me, che avrebbero potuto ereditar da me qualche favilla e tramandarla più alta nel tempo”.

Costanza Rosa

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